Nel 1922, nella cittadina di Pasadena, in California, l’astronomo Edwin P. Hubble osservava i moti delle galassie nell’osservatorio del monte Wilson. Le misurazioni lo condussero alla celeberrima scoperta dell’effetto batocromo (anche noto come “Red Shift”, una conseguenza dell’effetto doppler luminoso), provando che le galassie si allontanassero costantemente e quindi che l’universo fosse in espansione.
Grazie a questa sua scoperta, nel 1983, dal Goddard Space Flight Center, ad egli fu intitolato il telescopio dei record, il telescopio spaziale Hubble (“Hubble Space Telescope”). Il telescopio fu progettato per essere interamente operato da astronauti, infatti la missione dell’Hubble era intrecciata con il sistema di lancio Space Shuttle.
Ad Aprile 1990 lo Space Shuttle Discovery lo portò in orbita, immediatamente fuori dall’atmosfera, alla quota di circa 530 km con una missione importantissima: catturare la luce delle stelle in modo più puro che sulla superficie terrestre.
Il motivo risiede nell’analisi spettrografica, uno studio che si effettua sulle lunghezze d’onda luminose per interpretare la composizione delle stelle in base all’intensità della luce. L’atmosfera terrestre ci protegge proprio assorbendo parzialmente la luce proveniente dallo spazio, rendendo più complesso risalire agli elementi di cui le stelle sono composte. Già dopo un mese dalla sua messa in funzione, l’Hubble catturò la prima fotografia di una porzione della volta celeste.
Tuttavia, gli scienziati della NASA si accorsero di un difetto noto come aberrazione sferica, un difetto nella lente primaria di circa 4 µm (un cinquantesimo di capello umano), il quale causava una distorsione della luce in ingresso, comportando una riduzione nella qualità delle immagini. Nonostante ciò le fotografie erano comunque utilissime e, per far fronte a questo errore, ci fu un picco di interesse verso il progresso delle tecnologie di elaborazione di immagini.
Per altri tre anni, il telescopio ci regalò informazioni sulla natura dell’universo, insieme ad immagini mozzafiato di supernove e dei pianeti del sistema solare.
Finalmente, lo Shuttle Endeavor fu mandato a correggere il problema di aberrazione sferica con il sistema COSTAR e la nuova fotocamera WFPC2, aggiungendo inoltre molteplici migliorie ai sistemi di bordo; in tutto, le operazioni nello spazio durarono quasi trentacinque ore e mezzo.
Dopo altri quattro anni, la seconda missione di servizio fu operata dagli astronauti a bordo del Discovery per incrementare le sue capacità di analizzare la luce nell’infrarosso e di rilevamento di buchi neri.
Poi, nel Novembre del 1999, il telescopio entrò in safe mode a causa della rottura di quattro giroscopi su sei, comportando il pronto intervento degli astronauti che furono lanciati in orbita con il Discovery. In sei giorni i giroscopi furono sostituiti.
Grazie ai netti avanzamenti in campo informatico, furono installati anche un nuovo computer di bordo 20 volte più veloce e nuovi sistemi di archiviazione 10 volte più capienti.
La missione successiva nel 2002, denominata SM-3B, portò la nuovissima fotocamera ACS insieme ad altre migliorie impiantistiche. Una grande battuta di arresto arrivò però nel 2003, con il disastro del Columbia, portando l’allora amministratore di NASA O’Keefe a cancellare tutte le missioni con equipaggio umano verso il telescopio.
A seguito di un cambio ai vertici della NASA, il nuovo amministratore Griffin approvò nel 2009 la quinta ed ultima missione di servizio del programma Space Shuttle per l’Hubble, in cui l’Atlantis fu la base operativa degli astronauti che cambiarono la fotocamera WFPC2 con il più moderno terzo modello e rimossero il sistema COSTAR ormai non più necessario. Tra le altre operazioni di mantenimento, fu aggiunto un sistema che avrebbe facilitato le future missioni di cattura e rendez-vous.
Tutt’oggi il telescopio è in funzione e ci dona immagini mozzafiato di galassie dalle forme più disparate. È rimasto ancora come punto di riferimento anche dopo la messa in orbita del suo successore spirituale, il James Webb Space Telescope.
Nel 2022, SpaceX ha firmato un contratto con NASA per riposizionare il telescopio all’altitudine di 600 km, evitandone il rientro atmosferico ed estendendone la vita operativa. Attualmente, la speranza è che il telescopio possa continuare a stupirci per un altro ventennio, che vedrebbe il telescopio raggiungere la veneranda età di cinquanta anni.
Credits Image: www.hubblesite.org
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