Attraverso impatti, atterraggi o sonde atmosferiche, i veicoli spaziali costruiti dall'uomo hanno toccato tutti i pianeti del Sistema Solare, eccetto due: i giganti gassosi esterni Urano e Nettuno.
Le agenzie spaziali NASA ed ESA stanno quindi prendendo in considerazione l'ipotesi di missioni future verso questa intrigante coppia di pianeti dal caratteristico colore "blu", dovuto alla presenza di metano nelle loro atmosfere.
A tal proposito, le composizioni atmosferiche uniche dei due “giganti di ghiaccio”, principalmente fatte da idrogeno, elio e metano, sono state ricreate da ESA per simulare il "tuffo" di eventuali sonde nelle ghiacciate profondità atmosferiche; le simulazioni sono state effettuate all’interno della galleria ipersonica al plasma T6 Stalker dell’Università di Oxford e gli impianti al plasma dell’High Enthalpy Flow Diagnostics Group dell’Università di Stoccarda.
Le facilities del test.
In particolare, sono stati simulati i flussi di calore convettivo in un ambiente rappresentativo di idrogeno, elio e metano, e su un modello di sonda in scala 1:10, a cono sferico a 45 gradi come la sonda Jupiter Galileo.
La campagna di test ha permesso di raggiungere una velocità pari solo a 19 km/s, dimostrandosi non ancora pronta a simulare i 24 km/s effettivi che avrebbero le sonde in ingresso, una velocità pari a quella necessaria ad orbitare attorno ai gemelli gassosi. Tuttavia, nonostante gli adattamenti e le migliorie necessarie per poter riprodurre le condizioni critiche in questione, l'ESA ha già fatto grandi passi nello studio e comprensione dell'ambiente di lavoro che sperimenterebbe realmente una sonda in ingresso atmosferico su Urano e Nettuno. Ma quali sarebbero i problemi a cui le sonde andrebbero incontro?
La sonda utilizzata nella campagna di test
Urano e Nettuno sono molto simili tra loro, con un'atmosfera composta principalmente da idrogeno, elio e metano e con un nucleo solido, si differenziano dai giganti gassosi maggiori, Giove e Saturno. Le condizioni all’interno sono estreme: pur essendo giganti di ghiaccio, le temperature all’interno raggiungono diverse migliaia di gradi Celsius e la pressione è milioni di volte superiore a quella dell’atmosfera terrestre. Queste particolari condizioni determinano la separazione dei composti idrocarburici, compreso il carbonio, e le alte pressioni ne comprimono le molecole, trasformandole in diamanti. Per questo motivo si parla di "pioggia di diamanti".
Ma il problema principale, oggetto di studio del test, è dato dalle pressioni e dalle temperature caratterizzanti le atmosfere di Urano e Nettuno, di per sé eccessivamente elevate da richiedere alle future sonde in ingresso un apposito sistema di protezione termica, che sia in grado di resistere alle condizioni estreme e di proteggere la struttura sottostante e l'equipaggiamento a bordo.
Images Credits: ESA
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