






L'Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha pubblicato il "Zero Debris Technical Booklet" il 15 gennaio 2025, un documento fondamentale che delinea le tecnologie necessarie per raggiungere l'obiettivo di Zero Debris entro il 2030. Questo è il risultato di una collaborazione tra ingegneri, operatori, giuristi, scienziati ed esperti di politica, tutti membri della comunità Zero Debris, composta dai firmatari della Zero Debris Charter. (European Space Agency, 2024).
Il documento identifica sei obiettivi tecnologici chiave, tra cui: prevenire il rilascio di nuovi detriti, migliorare la sorveglianza del traffico spaziale e approfondire la conoscenza degli effetti dei detriti spaziali. Questo sforzo collettivo rappresenta un passo significativo verso un futuro sostenibile nello spazio, promuovendo una collaborazione internazionale per la salvaguardia dell'ambiente orbitale terrestre. In questo articolo ci si focalizzerà principalmente sul rilascio dei detriti ad opera delle operazioni spaziali.
Uno degli obiettivi principali delineati nel booklet è la prevenzione del rilascio di nuovi detriti spaziali, indipendentemente dalle loro dimensioni. Fin dall’avvento delle attività spaziali (Figura 2a), i lanci che hanno permesso alla razza umana di avventurarsi nello spazio sono stati Numerosi. Di contro, le attività spaziali portano con sé la problematica della generazione e del rilascio di particelle (più o meno grandi) in orbita (Figura 2b).
Questo richiede, ancora oggi, lo sviluppo di tecnologie e pratiche operative avanzate che minimizzino la generazione di detriti durante tutte le fasi delle missioni spaziali.
Figura 2 Cronologia (1956 – 2001) (a) dei lanci in orbita effettuati con successo da parte di varie agenzie spaziali e (b) della catalogazione di detriti spaziali in orbita. (Mehrholz, et al., 2002)
I detriti spaziali comprendono numerose particelle naturali (meteoroidi) e artificiali (derivanti, per esempio, dalla frammentazione di uno stadio), che non assolvono più alcuna funzione. Tra questi si trovano satelliti non funzionanti, stadi, frammenti generati da missioni e detriti derivanti da esplosioni o collisioni. In questo ambito, tutti gli attori del settore devono evitare il rilascio involontario di qualsiasi detrito.
Alcuni di essi (numericamente parlando, milioni), sono troppo piccoli per essere tracciati, e rappresentano un rischio significativo per le missioni spaziali. In media i detriti viaggiano fino a 37.000 km/h, abbastanza da causare danni considerevoli anche se di dimensioni ridotte. Inoltre, la fisica delle collisioni presenta dei risvolti interessanti, se si considera che sopra i 1.000 km/h di velocità di impatto, la fisica permette al corpo di comportarsi come un liquido.
Per affrontare la minaccia dei detriti, la NASA utilizza il radar Haystack, capace di rilevare frammenti tra 5 mm e 30 cm. Questo strumento campiona statisticamente la popolazione di detriti puntando verso specifici angoli e rilevando gli oggetti che attraversano il suo campo visivo.
Il rilascio di elementi strutturali dagli stadi dei lanciatori (Figura 4) rappresenta un rischio significativo per l’ambiente spaziale. Se non adeguatamente contenuti, questi elementi possono trasformarsi in detriti a lunga permanenza, aumentando la probabilità di collisioni con veicoli spaziali operativi.
Tutti gli attori del settore spaziale devono garantire che gli oggetti spaziali siano smaltiti con successo in modo tempestivo per mitigare il rischio di generazione di detriti e interferenze con le missioni operative. Le soluzioni più recenti per affrontare questo problema includono:
A. Lanciatori progettati per contenere i potenziali oggetti (frammentabili) relativi alla missione, inclusi strutture per lanci multipli, masse fittizie e adattatori. Per fare ciò sono necessari elementi strutturali dello stadio superiore progettati per prevenire il rilascio involontario di qualsiasi detrito.
B. Migliorare i modelli di simulazione riguardanti l'esposizione all'ambiente spaziale (ad es. comprensione chimica per estrapolare i risultati, analisi TGA per simulare l'esposizione estrema al sole)
Sono necessari ulteriori sforzi per sviluppare soluzioni tecniche e operative volte a migliorare la probabilità di successo nel deorbitare gli oggetti spaziali al termine della loro missione. Raggiungere una rapida e efficace rimozione orbitale dopo la fine della missione è fondamentale per evitare l’accumulo di detriti.
Per ottenere un tasso di successo della rimozione orbitale di almeno il 99%, sono necessari miglioramenti a vari livelli, tra cui, ma non solo:
· Aumentare la probabilità che un oggetto rientri autonomamente in atmosfera terrestre dopo la fine della missione;
· Progettare architetture di veicoli spaziali più affidabili;
· Integrare queste capacità con mezzi esterni, come i servizi di rimozione, quando necessario (Figura 5);
· Garantire che gli oggetti spaziali siano predisposti per la rimozione.
L'attuale modello delle operazioni spaziali sta cambiando grazie ad aziende estremamente capitalizzate, quali per esempio SpaceX e Blue Origin. Prima, esso si basava sull'uso singolo dei veicoli spaziali, progettati per essere lanciati, operare e poi essere eliminati nell'atmosfera o posizionati in orbite morte. Per un futuro più sostenibile, è necessario passare a un modello di economia circolare nello spazio, che mira a ridurre l'uso delle risorse e aumentare il valore derivato dagli asset spaziali.
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