Siamo molto spesso abituati ad associare i razzi spaziali ai loro motori, i proverbiali ugelli propulsivi e il luminoso gas che si espande al di sotto di essi. Questo fenomeno è un prodotto della propulsione chimica, fondamentale per i primi stadi dei lanciatori i quali, partendo dalla superficie terrestre, richiedono una forza elevatissima per vincere l’attrazione gravitazionale dove essa è più forte.
Tuttavia, ci sono diversi problemi legati a questo tipo di propulsione, in particolare legati alla natura dei propellenti e alla loro tossicità una volta combusti, oppure la necessità di immagazzinare enormi quantitativi di propellenti in forma liquida; i serbatoi, infatti, arrivano ad occupare la quasi totalità del volume interno dei lanciatori.
In questo modo le missioni richiedono che i lanciatori imbarchino enormi quantitativi di massa al momento del lancio che verrà poi persa molto rapidamente prima che il carico pagante raggiunga la quota per essere dispiegato. Il problema è storicamente ovviato con la tecnica nota come “stadiazione” che prevede il distacco programmato di parti del lanciatore, noti come “stadi”, una volta esaurita la loro funzione.
Benché questa sia la soluzione commercialmente utilizzata, essa non risolve il problema dei prodotti di scarto inquinanti e nocivi. Per far fronte a quest'ulteriore problematica, molti studi concentrano la ricerca sulla propulsione elettrica, che non utilizza la combustione di gas per generare propulsione, bensì la ionizzazione di un gas e l’accelerazione degli ioni così prodotti. A sua volta, però, queste particelle non sono sufficienti a generare abbastanza forza da poter essere utilizzata per sfuggire all’attrazione gravitazionale della Terra.
Per questo motivo, le traiettorie seguite da satelliti a propulsione elettrica sono completamente diverse da quelle tradizionalmente note, ottimizzate invece per i veicoli a propulsione chimica.
Ed è proprio per fronteggiare questo problema che entrano in gioco SpinLaunch e LongShot: utilizzare direttamente energia cinetica accumulata a terra per accelerare i lanciatori del futuro.
SpinLaunch, nata in California nel 2014, ha già effettuato 10 test dalla base Spaceport America del New Mexico. Il principio di funzionamento è molto semplice: accelerare un lanciatore con un braccio metallico facendolo ruotare a velocità sempre maggiori e sfruttandone l’accelerazione centripeta.
Sul sito di lancio hanno infatti costruito un acceleratore suborbitale alto più di 50 metri (più della Statua della Libertà). Nella camera rotante del diametro di 33 metri, l’aria viene rimossa quasi totalmente e così sono stati capaci di accelerare un lanciatore alla velocità di 7500 km/h, come hanno dimostrato nel loro ultimo test il 27 settembre 2022. Hanno persino dichiarato che fosse solo una versione scalata di un terzo rispetto alle dimensioni previste per un lanciatore orbitale vero e proprio, che dovrebbe garantire una velocità di 28000 km/h per permettere il raggiungimento del carico in orbita.
LongShot, invece, punta tutto sull’accelerazione orizzontale. La startup fu fondata nel 2020 con l’idea che i razzi convenzionali non fossero il futuro dell’accesso allo spazio, a causa dei costi richiesti per portare i carichi a destinazione. Quindi, secondo i fondatori della compagnia, l’applicazione delle tecnologie già ben note all’ingegneria civile sarebbe sufficiente a creare un condotto, all’interno di cui viene fatto il vuoto, per accelerare il vettore che porterebbe in orbita il carico pagante alla ridottissima cifra di 10 USD per chilogrammo (in opposizione, ad esempio, al costo del Falcon 9 di non meno di 6500 USD per kg).
Il principio risiede nella geometria del lanciatore e nella possibilità di farlo accelerare non solo dalla parte posteriore, ma anche dalle superfici laterali, mediante l’iniezione di semplice aria compressa. In un recente esperimento, sono riusciti ad accelerare un oggetto a forma di proiettile a Mach 1.05, ovvero 0.05 volte più veloce del suono, in un tubo di meno di 8 metri di lunghezza. Il loro obiettivo sarebbe raggiungere Mach 30, con tubazioni lunghe diversi chilometri.
Il modo in cui queste compagnie hanno deciso di proporre un cambiamento all’accesso allo spazio è sicuramente visionario, anche solo per la semplificazione teoretica introdotta in un problema notoriamente complesso. Se in un futuro dovessero riuscire a proporre questi nuovi modi di lanciare satelliti, sicuramente si aprirebbero moltissime opportunità anche per i giovani appassionati, magari permettendo con facilità l’invio dei propri satelliti in orbita.
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